Cronologia 

Neolitico Tardo/Finale (V-IV millennio), Antico Elladico II (2700-2250 a.C.), Medio Elladico-Tardo Elladico I (2100-1600 a.C.), Tardo Elladico IIIA (XIV sec. a.C.).

Storia delle ricerche

Il sito è stato individuato nel 2013 nel corso di una ricognizione di un gruppo di ricerca dell’Università di Udine, che collabora, con il coordinamento di E. Borgna, alle attività di scavo e di ricerca del servizio archeologico greco. L’abitato, risalente alla media età del bronzo e alla prima età micenea, è stato localizzato su una sella a ca 500m a sud-ovest della Trapeza. A seguito di una ricognizione sistematica di superficie e di un saggio nel 2015 sono state avviate delle campagne annuali di indagini sistematiche (2019-2024).

Descrizione

L’abitato sorge in una posizione strategica, su un elevato fiancheggiato a est dal fiume Meganitis e a ovest da una stretta e profonda valle dove tuttora scorre un flusso d’acqua durante tutto l’anno. L’altura è scoscesa e inaccessibile su buona parte del perimetro ed è facilmente raggiungibile solo dal lato sud-occidentale, dove il versante si addolcisce formando un ampio pianoro ben riparato e con esposizione favorevole. Il periodo d’uso più intenso del sito si data al Medio Elladico avanzato (Medio Elladico II-III), trail 1900 e il 1700 a.C., e comprende l’inizio del Tardo Bronzo (o Tardo Elladico I, 1700-1600). Sono documentate anche evidenze sporadiche di occupazione risalente a Neolitico Tardo e Finale, Antico Bronzo e Tardo Elladico III.

Sulla base della ricognizione di superficie si è calcolato che l’abitato abbia raggiunto un’estensione minima compresa tra 0,8 e 1 ettaro ma non si esclude che fosse più esteso, con trama sparsa anche nelle aree circostanti. Le campagne di scavo sono state condotte nel punto più prominente del pianoro, a sud-ovest, da dove proviene la maggior parte delle evidenze note, mentre nuovi saggi recentemente effettuati ai margini orientali del versante hanno messo in luce i resti di un focolare e, più in profondità, di un muro associati a ceramica micenea e di età storica.

Gli scavi nella zona sud-occidentale del pianoro hanno esposto una sequenza abitativa molto disturbata con tracce residue di abitazioni e di massicce operazioni di obliterazione, sbancamento e livellamento. Si è compreso che la morfologia della zona indagata venne modellata in antico dall’escavazione di un ampio bacino o terrazza incassata nel suolo sterile e aperta verso sud. Questa zona ribassata era forse utilizzata come cava e/o per attività di tipo artigianale, come sembrerebbero suggerire alcune strutture in negativo, tra cui una fossa circolare con canale di scolo. Qui si svolsero ciclicamente attività, come testimoniato dalla successiva costruzione di una struttura in terra cruda che potrebbe essere stata funzionale alla lavorazione delle matrici limo-argillose disponibili in loco, forse per la produzione di materiale architettonico o vasellame in ceramica.

Probabilmente verso la fine del Medio Elladico II (tra la fine del XIX e l'inzio del XVIII secolo a.C.) iI il bacino venne ampliato verso nord e completamente placcato con materiale di risulta da macerie di edifici, andando così a formare una sorta di “massicciata”. È possibile che questa opera di bonifica sia legata alla volontà di rendere più strutturata l’area, che potrebbe essere rimasta di tipo artigianale o forse convertita ad altro tipo d’uso, forse residenziale, della zona centrale, dove sono stati rinvenuti resti di acciottolati e di preparazioni o piattaforme pavimentali.

La massicciata venne poi gradualmente sepolta da spessori terrosi alternati a scarichi localizzati. Al di sopra di questi riporti sono documentate strutture murarie crollate, pozzetti e fosse. Questi resti, riconducibili ad una occupazione piuttosto evanescente, sembrerebbero indicare che quest’area, forse semi-aperta o recintata, giacesse ai margini dell’abitato o in uno spazio libero tra case sparse. La situazione sembra di nuovo cambiare radicalmente con la deposizione di spessi strati terrosi per livellare la superficie e per creare spazio per la costruzione di quello che si è rivelato essere un complesso architettonico multifase con due edifici sovrapposti.

Dell’edificio più antico, mal conservato, verosimilmente a pianta rettangolare e orientato in senso nord-sud, si preservano i lacerti di due muri ortogonali. All’interno sono state individuate tracce di calpestio e un focolare di forma rettangolare con preparazione in piccole lastre di pietra. I materiali ceramici associati a questa fase suggeriscono che la sua fondazione avvenne a cavallo tra la fine del Medio Elladico e l’inizio del Tardo Elladico I.

I piani d’uso di questo edificio vennero successivamente rasati e i blocchi dei muri riutilizzati per un nuovo edificio, fondato a TE I avviato, di forma ugualmente rettangolare e con lo stesso orientamento, ma leggermente spostato più a sud. La pianta di questo edificio indipendente, forse dotato di portico antistante, ripropone il modello del megaron con focolare centrale, che pochi secoli dopo sarebbe stato il modello planimetrico dei palazzi di epoca micenea.

Nonostante i massicci disturbi dovuti all’erosione ed alle attività agricole, che hanno completamente distrutto l’edificio verso nord e verso sud, si è riusciti a individuare almeno due vani. Il vano principale (4x2,6 metri) era provvisto di un ingresso laterale a sud marcato da una grande lastra rettangolare e affacciato su un ulteriore vano (forse il portico) interrotto da un taglio di terrazzamento moderno. È molto probabile che siano da riferire a questo edificio e a quello precedente, come spazi esterni o cortili, le superfici di occupazione adiacenti dove sono state trovate quattro sepolture infantilicontenenti neonati, una delle quali allestita con piccoli blocchi di pietra ai lati.

La vita dell’edificio può essere scandita in più fasi d’uso, come testimoniato da alcune modifiche alle infrastrutture interne al vano principale. Il focolare centrale, infatti, in sezione mostra almeno due rifacimenti con preparazioni di ghiaia e ciottoli su cui poggiavano piastre di argilla cotta. L’importanza del focolare, però, risiedeva nella sua articolata strutturazione: esso, infatti, pur non essendo particolarmente grande (con un diametro di poco inferiore al metro) era sorretto da lastre e grossi blocchi in pietra e delimitato da un circolo di grandi ciottoli, caratteristiche, queste ultime, che gli conferivano una certa monumentalità e che non trovano molti confronti nei siti coevi. Accanto al focolare, immediatamente a sud, in una zona racchiusa da un semicircolo di blocchi inglobati nel pavimento, venne allestita una teca o bothros con due lastre litiche ortogonali, probabilmente accessoria al focolare. Poco più a nord, un fornetto semicircolare a cupola in argilla, addossato al muro orientale, costituiva un’ulteriore installazione domestica per la cottura degli alimenti. Considerata anche la presenza di una macina in pietra e di vasellame in ceramica da cucina, si può affermare che nel megaron ebbero particolare rilevanza le funzioni legate alla preparazione e alla manipolazione del cibo.

Particolarmente numerosi sono i frammenti ceramici in giacitura secondaria inglobati nella massicciata, i quali hanno permesso di ricostruire le tipiche classi e forme vascolari in uso presso l’abitato nelle prime fasi del Medio Bronzo. Innanzitutto, un ristretto numero di frammenti può essere ricondotto al periodo compreso tra la fine dell’Antico e l’inizio del Medio Elladico (Antico Elladico III – Medio Elladico I), tra cui spiccano frammenti di ceramica grigie pertinenti a forme aperte di piccole e medie dimensioni con incisioni a motivi curvilinei e zig-zag affini alle produzioni in stile pseudo-Cetina della Grecia occidentale. Le analisi petrografiche condotte sui frammenti della Trapezà decorati con motivi in stile Cetina indicano che si tratta di manufatti prodotti localmente. Ugualmente locale è anche un frammento recante motivi “cicladizzanti” con cerchielli e motivi geometrici campiti con diagonali, che contribuisce a testimoniare l’ampia portata geografica del repertorio di motivi noti ai vasai della Trapezà. Tra gli elementi riconducibili a questa fase vi sono anche frammenti di cosiddette ‘ancore’ fittili, ovvero di manufatti somiglianti nella forma, per l’appunto, ad ancore e probabilmente usati come ganci di sospensione. A parte il ritrovamento di questi materiali, non ci sono altri dati, relativi ai contesti di occupazione del sito della Trapezà tra la fine dell’Antico Elladico III e l’inizio del Medio Elladico I. Anche sulla base dell’evidenze di altri siti abbandonati con la ‘crisi’ della fine del III millennio a.C. (approfondisci qui), si pensa che l’occupazione alla Trapezà potesse essere di tipo sparso o forse in via di stabilizzazione dopo una fase di abbandono.

Il Medio Elladico I avanzato e il Medio Elladico II paiono i periodi meglio rappresentati e forse quelli dell’accentramento della comunità nonché dell’occupazione più stabile e intensa nella zona. Estremamente caratteristica è la produzione locale di ceramica grigia detta “Minia” molto resistente e dalle superfici accuratamente levigate, tali da conferire alla ceramica un aspetto lucido metallico. Le attestazioni più frequenti sono il kantharos (tazza con due anse molto sviluppate), la ciotola biansata e la goblet (coppa su alto stelo cavo), che costituiscono le forme principali della ceramica da mensa. In quantità minore viene prodotta anche la ceramica dipinta, che in queste fasi è rappresentata esclusivamente da grandi ciotole, brocche e olle, ovvero da vasi destinati alla dispensazione e alla conservazione. La ceramica da cucina comprende un repertorio poco variegato costituito da profonde olle con prese laterali oppure da pentole con anse verticali, particolarmente adatte alla cottura di zuppe e cibi semi-liquidi. Vi sono infine frammenti grossolani provenienti da grandi pithoi, ovvero imponenti vasi la cui altezza poteva superare il metro, che testimoniano attività di immagazzinamento.

La ceramica recuperata dai depositi pavimentali del “megaron” illustra l’evoluzione del repertorio ceramico nel Tardo Elladico I. Dai piani d’uso dell’edificio provengono una goblet profonda e una brocca in impasti di colore arancio, che in questa fase rimpiazzano quelli grigi della ceramica minia, e coppe e tazze (tra cui una possibile tazza-mestolo) in ceramica da cucina. Di particolare rilievo il rinvenimento di una ciotola in ceramica da cucina, con la parte di un kantharos riposta al suo interno, in quella che sembra una deposizione strutturata e forse rituale. una ciotola in ceramica da cucina, con la parte di un kantharos riposta al suo interno, in quella che sembra una deposizione strutturata e forse rituale. Forse una valenza simbolica è da attribuire anche ad alcuni frammenti reimpiegati tra le fondazioni del focolare appartenenti ad un unico cratere, la cui comparsa costituisce un’assoluta novità del Tardo Elladico nel repertorio ceramico. In sostanza, il repertorio ceramico del megaron pone particolari enfasi nell’ambito della preparazione, manipolazione e dispensazione del cibo, considerata la presenza di ceramica da cucina e di ampi vasi da portata tipicamente usati nell’ambito del banchetto.

In generale, sono ampiamente rappresentati per questa fase kantharoi molto piccoli (“miniature”) e piccole tazze di forma arrotondata, talvolta dipinte con motivi dipinti curvilinei, che evidenziano la sperimentazione di nuovi stili nell’apparato decorativo. Si tratta di vasi molto più piccoli rispetto alle grandi coppe minie su alto stelo, ad uso prettamente individuale e che provengono per lo più dalle superfici adiacenti il megaron. Quest’ultimo, considerate le dimensioni limitate del vano messo in luce, era probabilmente destinato ad un accesso contingentato, potendo contare su ampi spazi aperti nelle immediate vicinanze, dove potevano aggregarsi per il consumo i membri della comunità o coloro chiamati a partecipare a determinate occasioni. 

Per quanto concerne le fasi di vita più recenti finora documentate, sembra verosimile ipotizzare che l’abitato della Trapezà, a partire almeno dalla fine del Medio Bronzo, partecipasse, insieme a molti altri siti coevi, tra cui il vicino insediamento costiero a Eghion, ai processi di crescita socio-economica che caratterizzano l’inizio del periodo miceneo, ma che sembrerebbero interrompersi o quanto meno declinare in breve tempo. Sembra infatti che l’edificio sia stato abbandonato alla fine del Tardo Elladico I, forse in favore di una nuova posizione che, come pare verosimile, non doveva trovarsi molto lontano. Ci si aspetta che le future indagini nel margine orientale del pianoro contribuiscano a chiarire la continuità di occupazione del sito dopo il Tardo Elladico I e se e in che misura si sovrapponga al periodo d’uso della vicina necropoli micenea.