Storia delle ricerche

Le prime notizie sulla presenza di contesti funerari di età micenea risalgono agli anni 930 a seguito del ritrovamento fortuito di corredi di materiali da almeno tre tombe disturbate nel corso di lavori agricoli. Sopralluoghi dell’archeologo P. Nerantzoulis fruttarono le prime relazioni e la conservazione dei materiali recuperati preso il Museo archeologico di Eghion. L’ubicazione delle tombe non fu tuttavia documentata, né venne chiarita nel corso dei successivi sopralluoghi a cura di P. Aström e T. Papadopoulos. I materiali decontestualizzati vennero parzialmente pubblicati (Aström 1965; Mountjoy 1999). La necropoli venne riscoperta nel 2012 a cura della missione dell’Università di Udine, coordinata da E. Borgna, invitata a collaborare agli scavi greci della Trapezà per quanto riguarda indagine e studio dei contesti pre-protostorici (2010-2024) con il patrocinio e il supporto del Ministero degli Affari esteri della Repubblica Italiana.

 

Descrizione

A seguito di una serie di sondaggi geoarcheologici e di ricognizioni mirate, nel 2012 la necropoli è stata identificata alle pendici sudoccidentali dell’acropoli naturale della Trapezà, in località Haghios Dimitris, in corrispondenza di un poggio che sembra costituire una sorta di segnacolo naturale, emergente nel paesaggio circostante.

Le campagne di scavo annuali (2012-2023) hanno consentito di identificare dodici tombe, alcune pesantemente intaccate dai lavori agricoli; di altre è stata riconosciuta solo la sagoma del corridoio nelle sezioni esposte lungo i terrazzamenti dei campi e poco si può dire sul loro stato di conservazione. Complessivamente sono state localizzate e messe in pianta nove strutture, sei delle quali sono state scavate completamente.

Le tombe indagate si dispongono ad ameno tre livelli lungo il versante meridionale della Trapezà, a distanze di pochi metri l’una dall’altra, parallele tra loro e orientate grosso modo nord-sud. Si tratta di tombe a camera scavate nella roccia tenera del substrato, che nel punto prescelto per l’impianto della necropoli, salvo sporadici affioramenti di conglomerato, è pura sabbia. 

La maggior parte delle tombe esplorate venne scavata a profondità piuttosto modesta; da corridoi – dromoi - non più lunghi di 6-7 metri e non più larghi di 1,5, si accedeva alle camere, in media non più ampie di 3,5-4 m e caratterizzate da forme varie e non sempre ben definite – circolari, rettangolari, subquadrangolari ad angoli stondati - e pareti a profilo irregolare. Pozzetti oblunghi sul fondo delle camere e nicchie ricavate nelle pareti dei corridoi sono documentati tra gli annessi funzionali alla deposizione secondaria di sepolture ridotte, pozzetti – ovali o quadrati – nei pavimenti dei corridoi sono stati rinvenuti vuoti e potevano essere stati originariamente progettati per l’occultamento di suppellettili rituali. Di particolare rilievo risultano le due camerette laterali nel corridoio della tomba 7, che, usate per deposizione di inumati in connessione solo parziale, per accumuli di ossa e come ricettacolo di offerte vascolari, erano comunicanti con i corridoi delle tombe adiacenti.

Si distinguono nel panorama delle strutture ad oggi esplorate la tomba 6, posizionata a notevole profondità e dotata di una camera rettangolare regolare, frutto di accurata progettazione, e soprattutto la monumentale tomba 10, il cui corridoio, tagliato dai terrazzamenti di età moderna, era lungo ca 20 m, largo almeno 2 e dava accesso, attraverso una porta arcuata alta ca 3m e uno stomion notevolmente articolato in lunghezza, a una camera ampia ca 15mq, a pianta rettangolare regolare.

Com’era consuetudine nel mondo miceneo, le tombe erano destinate a sepolture collettive.

La scelta della sabbia per la realizzazione delle tombe fa supporre che permanenza, stabilità e continuità non fossero tra le prime preoccupazioni della comunità, benché le camere, come di consueto nel sistema funerario miceneo, fossero destinate a sepolture plurime, ciascuna cioè doveva ospitare i membri di unità sociali riconducibili plausibilmente a famiglie e gruppi di discendenza o lignaggi, e dunque era progettata per essere riaperta nel corso di più generazioni.

In verità le tombe furono oggetto di lunga e articolata occupazione e crollarono solo in età storica, tra l’età geometrica e l’età arcaica, come sembrano indicare i materiali scivolati nei crateri prodotti nel terreno dal collasso delle volte.

In parziale contrasto con le caratteristiche formali e dimensionali, la quantità e la qualità dei corredi e delle suppellettili delle tombe testimoniano di una sorprendente vivacità culturale e sociale, apprezzabile in particolare durante alcune fasi del ciclo d’uso delle strutture. La necropoli, fondata verosimilmente nel TE IIIA 1 o tardo XV sec. a.C., ebbe infatti un’occupazione particolarmente intensa e fiorente durante il TE IIIA 2, XIV sec. o primo periodo palaziale.

Dopo una sensibile cesura, forse un parziale abbandono del sito nel corso del periodo palaziale più evoluto e della fase immediatamente successiva al crollo dei palazzi, tra XIII e XII sec. a C., nel periodo post-palaziale evoluto (ca. metà XII-XI sec. a.C., TE IIIC medio-tardo), la necropoli fu rioccupata e intensamente utilizzata. Le tombe vennero ripetutamente riaperte e furono sede di pratiche funerarie e comportamenti rituali complessi fino alla fine dell’età del bronzo, verosimilmente nel pieno periodo submiceneo.

Durante il ciclo più antico, ben rappresentato dalla tomba 2 – una struttura a pianta circolare e soffitto a volta -, i corredi, molto semplici, erano composti per lo più da piccoli vasi caratteristici dei contesti funerari quali alabastra e olle piriformi pressoché miniaturistiche, ossia contenitori per unguenti oli e profumi cui potevano associarsi un attrezzo in bronzo come il coltello e pochi ornamenti, tra cui i conuli/fusaiole in pietra o ceramica. Nel corso del TE IIIA 2 la qualità della cultura materiale aumenta notevolmente, come dimostrano pregiati servizi vascolari, che indicano dipendenza dai modelli palaziali ma anche legami interregionali autonomi, dal Peloponneso occidentale a Creta. I corredi si arricchiscono di sigilli e molteplici classi di vaghi e perle in svariati materiali - vetro e faience, oro, corniola, cristallo di rocca, ambra – compongono collane e raffinati ornamenti. Le tombe 6 e 7 sono testimoni principali della presenza, alla fine del periodo, di componenti elitarie, la cui autorità sociale e forse il legame con i palazzi sono in particolare espressi dalla preziosa combinazione di armi e attrezzi accantonati in un piccolo ripostiglio nella tomba 6. La grande quantità di sigilli e la discreta diffusione della armi – in un periodo nel quale il capillare controllo centralizzato delle autorità palatine indusse al livellamento dei corredi funerari dai quali erano per lo più esclusi oggetti di grande valore e ostentazione sociale  e soprattutto simboli di autorità e prestigio individuale quali le armi - , sono indizi di una possibile presenza di individui e gruppi di estrazione palaziale ossia guerrieri e ufficiali appartenenti all’entourage dei palazzi dell’Argolide, che avevano interesse a controllare le regioni periferiche a scopo d drenaggio delle risorse e di controllo delle relazioni internazionali. 

La tomba 8, tra le più semplici e modeste, ha restituito l’inumazione di un individuo supino, in giacitura primaria e inoltre resti disarticolati, ridotti e accantonati insieme a scarni elementi di corredo riferibili ad altri inumati: nel coacervo degli elementi accantonati erano 3 armi da taglio, una spada lunga e due spade corte o daghe, che segnalano la presenza di guerrieri, forse al servizio di un governatore locale che possiamo immaginare sepolto nella vicina Tomba 10. Quest’ultima, le cui dimensioni monumentali non hanno pressoché confronti nelle pur eminenti necropoli dell’Acaia, e sono ben confrontabili con tombe emergenti del Peloponneso nord-orientale ossia delle regioni propriamente palaziali, venne svuotata, forse in un atto di damnatio memoriae, nel corso delle turbolenze che segnarono il difficile periodo del crollo dei sistemi palaziali, e ha dunque restituito poche tracce utili a un’adeguata ricostruzione dei corredi: resti di vasellame in lamina, di gioielli in oro, un sigillo e parte di una lunga spada in bronzo confermano tuttavia con chiarezza che la tomba era destinata alla sepoltura di un gruppo emergente e forse di un individuo con distinta autorità politico-amministrativa.   

Nel periodo post-palaziale la riapertura delle tombe rappresentò una nuova fondazione e l’inizio di un nuovo corso, la cui vivacità culturale è affermata in particolare nella tomba 1 dalla presenza di raffinati pendenti aurei a forma di protome bovina, che riportano alle rotte dell’Egeo orientale e a Cipro. Il periodo post-palaziale è scandito da diverse fasi di occupazione, che colpiscono soprattutto per le pratiche rituali relative al trattamento delle ossa dei più antichi occupanti, trattati come antenati illustri e oggetto di offerte a scopo di legittimazione e costruzione di un legame di discendenza attraverso l’attivazione della memoria di un passato inteso come risorsa.

I materiali provenienti dai riempimenti dei corridoi offrono inoltre testimonianza esclusiva di pratiche conviviali che potevano costituire una tappa nello svolgimento del funerale, e di alcuni riti indipendenti dai singoli funerali, quali offerte e libazioni davanti alle porte chiuse delle camere, in occasione di visite post-mortem che fecero della necropoli un luogo di trasmissione di tradizioni e memoria sociale

Al TE IIIC medio e tardo appartengono un paio di inumazioni primarie femminili, dotate di conuli e di un set vascolare formato da anforetta a staffa e amphoriskos. Pochi sono tuttavia i contesti primari e rari i corredi ricostruibili integralmente non solo per le complesse pratiche e per la riduzione generalizzata delle sepolture più antiche in depositi strutturati ai margini delle camere, ma anche per le attività di selettiva depredazione messe in atto dai più recenti visitatori delle tombe (TE IIIC/SM). Questi ultimi risultano portatori di una facies culturale propria dell’Acaia occidentale e poco rappresentata ad oggi nella parte orientale della regione: ben esemplificata da un bell’esemplare di duck askos o vaso ornitomorfo della tomba 6 e da diversi contesti che associano grandi vasi, quali anfore e kalathoi, a minute anfore a staffa e lekythoi con decorazione elaborata, questa facies permette di documentare una continuità di frequentazione che altre necropoli achee non ebbero e trova riscontro a Voudeni e Portes, due dei maggiori contesti dell’Acaia occidentale nel territorio di Patrasso.

Non è chiaro dove vivesse la comunità che seppelliva i propri morti nella necropoli della Trapezà; appare probabile che almeno durante il ciclo più antico (XV-XIV sec. a C.) l’insediamento si trovasse su un’altura posta qualche centinaio di metri a sud della Trapeza, dove è attualmente in corso l’indagine del villaggio medioelladico che ha restituito sporadiche evidenze di ceramica micenea. Del tutto ignota la sede della comunità post-palaziale.