Localizzazione geografica e amministrativa

Le grotte del Carso triestino si trovano nel 'Carso classico', un altopiano calcareo dalla superficie di circa 750 kmq, compreso tra le province di Trieste e Gorizia e i territori della Slovenia occidentale a ridosso del confine con l'Italia. Il 'Carso classico' si estende dalla linea di costa dell'Adriatico settentrionale, nella zona compresa tra Sistiana e Duino alla Slovenia occidentale ad ovest della valle del Vipacco.

45°44'17.1"N 13°47'04.7"E (vedi su Google Maps).

Definizione tipologica

Numerose sono le cavità del Carso triestino da cui provengono reperti che ne testimoniano la frequentazione tra III e II millennio a.C. Le principali, per quantità e qualità dei rinvenimenti databili alle le fasi di Antico Bronzo, sono certamente quelle dei Ciclami, degli Zingari e del Mitreo. A queste grotte si può aggiungere il sito all'aperto di Castellazzo di Doberdò, in provincia di Gorizia, che costituisce uno dei più antichi abitati stabili dotati di fortificazione noti per il Friuli Venezia Giulia. Le grotte sono state utilizzate, verosimilmente, in prevalenza come stazioni stagionali collegate alle pratiche della transumanza. Alcuni contesti inseriti in condizioni ambientali particolarmente spettacolari, come per l'area delle Grotte di San Canziano dove si immerge il fiume Timavo, sono stati utilizzati come depositi votivi di oggetti in bronzo, soprattutto armi, vedi Grotta delle Mosche.

Ambiente

L'altopiano carsico è un altopiano calcareo dall'altezza media compresa tra 200 e 300 m slm, ma con vette che arrivano fino agli 800/900 m slm, costituito da calcari di Monte Coste, calcari di Aurisina e ad Alveoline e Nummuliti, da calcari pertinenti alle formazioni Liburnica e di Monrupino, da dolomie e da calcari dolomitici di età cretacica e eocenica inferiore. Il paesaggio, fortemente ondulato e tratti sub pianeggianti, è caratterizzato da affioramenti rocciosi, pietraie, doline, inghiottitoi che si aprono improvvisamente sulla superficie, e cavità che si possono sviluppare nel sottosuolo in grande estensione. Date le caratteristiche geologiche l'altopiano carsico è completamente privo di una rete idrografica di superficie, i fiumi e i corsi d'acqua si inabissano al passaggio dal substrato flyschoide a quello calcareo per sfociare a mare generalmente oltre la linea di costa. Sul Carso sono però presenti, oggi in numero molto ridotto rispetto a un tempo, stagni formatisi in aree depresse sul cui fondo non vi sono aperture che facciano defluire l'acqua. La vegetazione, caratteristica degli ambienti con scarsa umidità del suolo, è molto ricca sia di specie endemiche, che trovano sul Carso un habitat particolare deve si congiungono caratteri specifici del paesaggio continentale con quelli propri dell'ambiente mediterraneo, sia di specie importate dall'uomo. Le formazioni botaniche attestate sono riferibili a tre categorie: il bosco carsico, la landa carsica e i boschetti di dolina. Tra le specie endemiche dominano le latifoglie come la carpinella, l'orniello, la quercia e l'acero e poi il sommaco, un infestante che invade sia il bosco che la landa e, d'autunno fornisce al paesaggio meravigliose chiazze di colore dal giallo al vinaccia. Tra le specie importate una particolare importanza, per la funzione avuta nel rimboschimento del territorio dopo la Prima guerra mondiale, è quella avuta dal pino nero.

Cronologia

Le numerose grotte del Carso triestino hanno restituito reperti litici, ceramici e faunistici, più rari quelli metallici, attribuibili per lo più al Neolitico, all'età del Rame, e alla prima età del Bronzo, ma non mancano le attestazioni riconducibili anche ai periodi successivi dell'età del Bronzo, dell'età del Ferro e di epoca romana. Il Neolitico è conosciuto per lo più per gli aspetti di Neolitico Antico evoluto (cronologia italiana) – Medio (cronologia balcanica), ovvero per la facies Vlaška – Danilo mentre scarsi e dubbi i reperti più antichi di primissimo Neolitico (ceramica impressa adriatica). Il III millennio è tra i periodi maggiormente attestati dai reperti ceramici ed è documentato negli aspetti di Vučedol, Lubiana, Cetina e, in modo meno chiaro, verosimilmente anche Campaniforme

Fruibilità e conservazione

Le grotte carsiche sono sottoposte a diversi regimi di controllo per quel che riguarda la fruibilità in funzione, in special modo, del grado di pericolosità rappresentato dal contesto. La maggior parte delle grotte di interesse archeologico ha un accesso in piano, generalmente piuttosto ampio, e può rientrare nella categoria dei ripari sotto roccia con ambienti grandi e poco profondi ma ci sono anche cavità che si articolano in gallerie e cunicoli. Alcune grotte sono in proprietà privata quindi il loro accesso non è libero. Poche sono le cavità il cui ingresso è chiuso e tutelato dalla Soprintendenza (vedi la grotta del Mitreo). Le grotte carsiche sono tra i contesti del territorio del Caput Adriae più precocemente sottoposti ad indagini. Poiché tutta la Venezia Giulia oltre che la Slovenia erano parte, fino alla fine della prima guerra mondiale, dell'Impero austroungarico una parte dei reperti è conservata presso il Naturhistorisches Museum di Vienna, il maggior numero dei reperti si trova, però, presso i musei di Trieste, nel Museo di Antichità J. J. Winckelmann e nel Museo Civico di Storia Naturale. Una parte del materiale si trova al Notranjski Muzej di Postumia.

Storia delle ricerche

Le indagini speleologiche svolte nelle cavità del Carso triestino hanno una lunga tradizione che trova le proprie origini nella seconda metà del 1800. Le ricerche archeologiche, svolte non sempre con rigore scientifico, si sono susseguite, quasi ininterrottamente, da quest'epoca fino ai giorni nostri, ma hanno conosciuto tre periodi di particolare fervore, uno collocabile tra l'ultimo quarto dell'800 e i primi decenni del '900 grazie all'opera, in principal modo, di Carlo Marchesetti (1850-1926), direttore tra 1876 e 1921 del Civico Museo di Storia Naturale e di Karl Moser (1845-1918), professore di Storia Naturale al ginnasio di lingua tedesca di Trieste, uno, collocabile tre le due guerre che vide in di Raffaello Battaglia (1896-1958), professore di Antropologia dal 1931 all'Università di Padova, l'artefice più autorevole, l'ultimo databile tra gli anni '50 e '80 del secolo scorso.  

Descrizione

Il Carso triestino presenta due generi di evidenze archeologiche di enorme interesse per quel che riguarda gli studi di preistoria ovvero le grotte e gli abitati fortificati cioè i castellieri. Pochissimi, a quanto risulta ad oggi, i tumuli funerari che, invece, rappresentano un tipo di fonte attestata in numero più cospicuo sia in Istria che in Friuli. Le grotte costituiscono un tipo di contesto frequentato, per quel che riguarda la preistoria, a partire almeno dal Mesolitico, i castellieri più antichi si datano, invece, al pieno Bronzo Antico, trovano il massimo del loro sviluppo, in numero di insediamenti, tra Bronzo Medio e Bronzo Recente e perdurano fino all'avanzata età del Ferro. Gli ultimi castellieri sembrano venir abbandonati verso la metà del IV sec. a.C.

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